Anima persa

[1977 – Regia di Dino Risi]

Nella trasposizione cinematografica del romanzo Un’anima persa, viene meno con la rimozione dell’articolo la voluta indeterminatezza dell’appartenenza dell’anima: un dettaglio non trascurabile data la cura maniacale di Giovanni Arpino per i titoli.
L’ambientazione passa dalla collina torinese ai canali veneziani, portando con sè il cambiamento dei nomi dei protagonisti: l’ingegnere Serafino Calandra e la moglie Galla diventano Fabio ed Elisa Stolz; Tino mantiene il suo nome ma da “maturando” si trasforma in studente dell’Accademia d’Arte.

La trama viene sostanzialmente rispettata: l’arrivo dello studente nella casa degli zii, il mistero del fratello rinchiuso al piano di sopra nella ‘stanza proibita’, le ricerche di Tino presso la società del gas dove è impiegato lo zio, fino allo scoperta finale.
La sceneggiatura aggiunge due figure femminili: la modella Lucia che, dopo una posa di nudo all’Accademia, diventa amica di Tino e lo guida tra le calli di Venezia; la bambina scomparsa Beba, figlia della zia Elisa, su cui l’ingegnere proietta la propria Sindrome di Peter Pan.

L’ingegnere Fabio Stolz viene interpretato da un austero Vittorio Gassman, che pone in maniere teatrale al nipote la domanda “Ma dimmi tu: perché lavorare?, per chi?, per cosa?, non avendo un figlio, uno scopo…”, e nel finale incarna il tema del doppio in una confessione dove si definisce come “le due facce di uno specchio”. La zia Elisa è un’affascinante Catherine Deneuve, ossessionata dai segni dello scorrere del tempo sul suo viso angelico. Tino è interpretato con la timida leggerezza dello studente fuori sede dall’esordiente Danilo Mattei, che passerà alla cronaca negli Anni Duemila come braccio destro del narcotrafficante Gennaro Bonifacio.