Il fratello italiano

[1980]

Carlo Botero è un maestro elementare in pensione con la routine giornaliera scandita dal giornale sulla porta “alle sette precise”, da Campari e sigarette e dai gesti di cura verso il gatto Stalin.

Dal balcone del suo alloggetto torinese può controllare un “familiare panorama di tetti, antenne, finestre chiuse” con il sottofondo premonitore dei versi dell’Aida <<se quel guerrier io fossi>> e la convinzione che “il mondo che era stato e quella stessa città sarebbero spariti con lui.”

Raffaele Cardoso, “mezza bestia e mezzo santo”, è stato manovale, emigrante e prigioniero di guerra; mostra “il volto di sempre, segnato e buio ma di tranquilla solennità” con un un figlio ad attenderlo in Germania.

Entrambi vedovi e pensionati, così uguali e così diversi, Nord e Sud, intelletto e manualità: le loro vite si incrociano per il grido di aiuto delle rispettive figlie, Stella e Jonia, e da quell’incontro spunta una pistola per compiere “la rovinosa carezza del destino”.

Il “labirinto di quella sfida” è una Torino di fine estate, attraversata a bordo della Seicento del maestro, tra prostitute, avvocati e malavitosi in un crescendo che assume i contorni del thriller mentre i protagonisti restano in bilico tra delitto e castigo, fino ad un memorabile dialogo finale sulla giustizia.

L’ambientazione torinese viene affrescata tra le pagine con “gli alti palazzi, le fughe senza fine delle finestre tutte uguali per diecine di piani in spettrale geometria.”
Il fiume Po ha la funzione di dividere Occidente e Oriente, “i nasi sottili e tormentati delle Alpi” dal “profilo morbido della collina d’Oltrepò” mentre “un milione di lumi disegnavano la città in distanza”.