Passo d’addio

[1986]

Il romanzo è la storia del rapporto tra un allievo ed un maestro di matematica – Carlo Meroni e Giovanni Bertola – e del loro appuntamento fisso domenicale tra partite a scacchi e massime scritte su una lavagna. Il tempo trascorre tra le provocazioni del professore: “Bevi qualcosa. Impara a fumare. Ma non ti è noioso vivere senza vizi?” e la sua filosofia verso la gente che torna dallo stadio: “Beati i semplici”.

La lavagna è oggetto simbolo per entrambi: quella casalinga “labile diario del vecchio maestro” dove campeggia la sentenza settimanale <<La vita o è stile o è errore>> e quella universitaria idealizzata dal giovane come “spazio perfetto dove, appuntando linee, cifre, lettere, avrebbe potuto creare un sortilegio capace di intimidire la più bellicosa scolaresca.”

Il professore è ospite delle signorine Rubino che lo trattano “con la delicatezza necessaria ai tramonti” ma è gravemente ammalato, “vivo ma ignaro di sé, del ruotare del mondo”. La sua fuga da casa con conseguente caccia all’uomo per le strade di Torino inducono i protagonisti ad interrogarsi sull’eutanasia e sulla visione del rapporto con gli anziani, come idealizzato dalle parole di Ginetta, nipote delle padrone di casa ed amante di Carlo.

“Lo stiamo tradendo, povero professore. Lo sospettiamo perché ci fa paura, così come ci impauriscono tutti i vecchi, che vogliamo lontani da noi perché deturpano la nostra illusoria, stupida bellezza. Noi vogliamo mangiare fragole a Natale, volare in tre ore da Roma a New York, calpestare la luna, tuffarci in mari caldi anche a gennaio, fingere chimiche giovinezze. Mentre Giovanni Bertola è un moribondo che ci invia un segnale, chiedendoci di essere ancora uomini, di non arrenderci prima di aver compiuto il nostro ultimo dovere di uomini.

Sullo sfondo la consueta ambientazione torinese, dove poter riconoscere la Basilica di Superga, i Murazzi e Corso Vittorio affrescati da descrizioni poetiche durante il primo appuntamento tra Ginetta e Carlo: “Il fiume non mandava il minimo fiato, la cupola di una chiesa lontana pareva galleggiare entro un alone di bambagia dorata.” che diventano spettrali durante la lunga notte di ricerca del professore: “Il parapetto lungo il fiume nascondeva le acque e pareva una rettilinea muraglia fortificata. Non lo costeggiava anima viva. Il profilo buio delle colline al di là del fiume alternava zone sinistre a presepi di minuscole luci ammiccanti. […] Il grande corso centrale della città li attendeva con dilatate luminarie fiammeggianti nel vuoto. I marmi dei portici mandavano splendori al selciato deserto.”